--«(...)
di tutte le cose esiste un cammino che volge a
ritroso ( ...) Indifferente è per me da
quale parte incomincio; infatti lì ritornerò
di nuovo ».
Parmenide, I Frammenti 5, 6.
--George
Gissing,
tra noi
--C'è
sempre qualcosa di estraneo e di sbagliato nel
modo in cui una certa tristezza, per non dire
di una "morbosità" dello sguardo,
affliggeva certi inglesi eccentrici e molti degli
stranieri perdigiorno in giro per il Grand
Tour. Tutti quei tisici illustri e stravaganti
che fuggono dalle fredde e malinconiche metropoli
del loro mondo iperboreo sciamando verso il Sud,
e che pagandone comodamente il prezzo in travel
cheque di una banca di Lombard, si credono <<born
in exile>>.
--Forse
la causa di questo esotismo al nero, più
che con il solito fraintendimento nordico della
luce e del sole del Sud
(quel misto di invidia e di spocchia altezzosa
che certi tedeschi e britannici non sono mai stati
capaci di confessare di fronte allo spettacolo
imbarazzante di tutta quella gente che viveva
così intensamente --e in fondo in modo
così piacevolmente civile, a dispetto della
povertà e nonostante la sporcizia--, in
quei minuscoli paesi senza strade, su cui la luce
si diffondeva però in modo così
sorprendentemente sontuoso, illuminando le casupole
e il sembiante fotogenico di ognuno dei suoi abitanti),
ha forse a che vedere con un fraintendimento della
vita e della storia del mondo più interno
e profondo, che nel viaggiatore medio si traveste
di solito in una sorta di degnazione paternalistica
ammantata di boria etnocentrica. Il loro pregiudizio
gettava ombre su tutto. Ma talvolta la luce del
Sud
fa venire a galla anche tra gli stranieri bennati
ciò che resta celato tra i risvolti di
una umanissima confessione dello smarrimento di
sè nella civiltà dei moderni. Umore
comprensibile è la malinconia del
Sud di George
Gissing. Vi approda per l’ultima
volta nel 1897. Da solo. Attraversava la vita
come fosse un viaggio. E quest’ultimo suo viaggio
al termine della vita finisce allora nel luogo
più a sud di tutto. In
Calabria.
Il posto migliore per perdersi. Chi
era George Gissing? Un vittoriano
solitario, un fuggiasco maledetto, uno scrittore
senza lettori. Ma un viaggiatore davvero speciale.
--Dopo
essersi a lungo smarrito nel deserto della Calabria
del 1897 e ritrovato a specchio nei volti sconosciuti
degli abitanti del Sud,
dopo aver cercato l’oblio in occhi di donne dallo
sguardo di liquirizia, Gissing
ha abbandonato il suo tempo al disordine delle
strade e mischiato la vita al costume corrivo
che decanta come schiuma dall’incipiente ambizione
provinciale delle città del Sud
(dove gli capita di vedere copie ridondanti e
decrepite dell’architettura moderna (<<la
smania di costruire qui ha sfigurato tutto>>)
che già soffocano le piccole e antiche
città, i luoghi laddove in un tempo immemore
nacque l'Europa).
E così il vittoriano solitario è
costretto a dirsi una volta arrivato laggiù,
che nemmeno sulle rive dello Ionio egli avrebbe
potuto sedersi quietamente sulla soglia dell’attimo
e dire davanti all’estremo finis terrae di quel
suo singolarissimo viaggio, <<At last!>>:<<Qui
finalmente riconosco la mia vita>>.
--Tanti
prima di lui, celebrando
l’ipocrisia dell’esota hanno detto di aver amato
il Sud. Gissing
invece non mente. Neanche a se stesso. Perché
è pur vero che proprio il viaggiatore più
autentico è colui che sempre si nega all’amore.
E si lega solo all’amore per il più lontano.
Il vero viaggiatore non può amare, perché
l’amore è riposo e stasi nell’appartenenza;
e invece il viaggio è mutamento di luogo
e di sentimento, condizione indefinita di spostamento,
spaesamento e inquietudine senza posa. Erranza.
--Gissing
è affamato di lontananza e il suo viaggio
si nutre di simulacri femminili. Giunto in Calabria
da Napoli
imbarcato su un piroscafo, aveva già deciso
in Inghilterra, un anno prima
di partire, che avrebbe toccato terra a Paola,
un luogo con un nome di donna, <<è
più di un anno che mi è venuta in
mente l’idea di Paola...>>. Più
onestamente, dopo i suoi incontri (di grazia o
a tariffa) con le donne calabresi dalle pupille
ardenti, in mezzo ai dubbi erratici del suo girovagare
amoroso per le contrade del sud, per
sé riconosce solo lo spazio aperto e irredento
di questo interrogativo: <<quanto, e già
più abbondantemente di ciò che io
stesso meritassi, sono stato ricompensato per
questo amore?>>.
--Gissing
cercava la luce del Sud per sanare una ferita.
Questi luoghi di bellezza sono quegli stessi agognati
e nascosti ai personaggi che nelle favole amare
dei suoi romanzi e racconti vedono indicata davanti
a sé la strada giusta che il protagonista
non riesce mai a percorrere, deviato nel suo cammino
da errori e avversità esorbitanti. Nell’immaginazione
che si nutre della forza del desiderio, andare
e tornare verso ciò da cui un distacco
ci ha originariamente deprivati, è la medesima
cosa. Ecco perché egli non era un turista,
un esota comune, uno di quegli estranei compassionevoli
o incantati. Comunque finti.
--lui
si davvero, era nato in esilio. Esilio
dei tempi, esilio dei sentimenti: <<la mia
immaginazione, sempre immersa nella lontananza,
in un altro mondo>> -- <<noi tutti
possediamo in segreto il desiderio di credere
fermamente ad un amore immortale, eterno. Un sentimento
commovente, ma è così amaro accettare
la verità>> -- <<non sono mai
riuscito a sentirmi in patria un membro della
cosiddetta società. Nella mia vita sono
sempre esistite due sole entità: me stesso
e il mondo, e le relazioni intercorse tra queste
due polarità sono state di norma ostili
... Sono
nato in esilio>>.
--Se
qualcuno ritorna sempre con la mente e con gli
occhi a luoghi, memorie, visioni di un altrove
irredento; e se dentro restano come schegge roventi
sguardi e parole, il richiamo di una voce, un
volto di donna fuggito per la via insieme alla
promessa di <<una bella giornata>>
-- allora il suo viaggio è qualcosa di
più, e chi lo compie non diventa il complemento
particolare e fortuito di una terra lontana abitata
dagli "altri". Egli invece "abita"
quella terra come fa un nativo con la sua patria
lontana scorrendo il diario figurato della sua
gioventù. Uno straniero così può
viaggiare verso l'altrove cercando i segni di
un'appartenenza. Un ritorno. Proprio come farebbe
un nativo. Gissing
era -in fondo- un inglese maledetto che desiderava
di farsi calabrese. <<Qui mi sento bene,
anzi molto bene, perché è qui che
è più bello vivere>>, scriveva
ai suoi infastiditi connazionali dalla reietta
Calabria,
a dispetto del primato imperiale dell’età
vittoriana. <<Nella mia geografia ancora
sta scritto che tra Catanzaro
e il mare si trovano i Giardini delle Esperidi>>,
aggiunge poi con il tocco ironico del dandy. Ma
un luogo buono per vivere, per lui lo era anche
per morire. <<Dopo tutto per me
sarebbe meglio morire qui in una stanzetta davanti
allo Ionio che in un tugurio di Shoredicth>>,
egli ha scritto sul serio da un lettuccio di locanda
di Crotone
quando la tisi lo aveva già promesso alla
morte.
--Chi
resta lontano, il turista per caso, può
dire con la degnazione che è tipica del
turista, di amare il Sud.
Intendendo con ciò che forse potrebbe un
giorno tornare a visitare nuovamente quei luoghi,
ma che certo laggiù nessuno di loro verrebbe
mai veramente a viverci, a morirci. Il solito
insulto benevolo del turista che va in giro senza
bisogno di tornare da dove venuto, perchè
in realtà viaggia senza mai spostarsi da
casa. Ma chi incontra davvero chi, come ha fatto
George
Gissing? <<Uno straniero di
passaggio non ha nessun diritto di coltivare sentimenti
di superiorità nazionale>>. Questa
era la sua antropologia ante litteram.
--Persino
i turisti più illustri --che dire dell'insopportabile
filisteismo colto di Goethe
e di Stendhal,
(e dopo di loro desta sorpresa persino la giovanile
ritrosia xenofoba del grande Walter
Benjamin che nel 1912, tedesco sino
al midollo, eviterà qualsiasi contatto
umano con la radicale alterità
del Sud!), attenti soltanto alla rivelazione
del "sublime"?--. Viaggiatori supercolti
i quali senza toccare mai terra sorvolano tutto
dalle vette celesti della loro arida degnazione
intellettuale che si nutre senza vita della contemplazione
classicista delle rovine e degli incanti muti
del paesaggio. Non c'è paese, non c'è
mai la gente. La vita non si tocca. Non ci sono
incontri. Restano le alte coste del Sud,
con lo spettacolo geometrico delle loro forme
dolci e tormentate e il mito del loro sfarzo vegetale
che sfila oltre il bordo del piroscafo. Poi le
marine e le piccole case colorate, salutate con
sollievo da lontano, separate nuovamente dall’arretratezza
e povertà che ai loro occhi pare debba
durare per sempre. Da lontano di nuovo tutto trascorreva
e ridiventava più accettabile. Gli abitanti
cenciosi dai bei profili eroici, la parlata e
il gesto omerico venivano dimenticati presto:
in fondo il Sud
era solo una vacanza più strana.
--Quello
non era l'eden. Ma la posta in gioco nella dialettica
del sogno è il risveglio di chi sogna.
I
Giardini delle Esperidi di Gissing,
come tutti i suoi sogni a lungo vagheggiati di
<<an other new life>> alle latitudini
del sud, erano sprofondati tra
le sabbie bianche e le canne di palude, giù
per i calanchi riarsi dello Ionio, subito dopo
i tempi del mito. I pescatori non conoscono Ulisse;
forse ancora lo vede l'occhio del polipo, attratto
dalla luna d’agosto.
--Quello
che Gissing attraversa e porta con sè nell'autunno
del 1897, due secoli fa oramai, è il Sud
che non vediamo più. Le
rovine del passato classico, rotte e sparute,
sono ancora quelle solenni vestigia non ancora
calpestate dai turisti, sepolte sotto il fango
dei secoli o ricoperte di grovigli di rovi e rampicanti.
Reliquie davanti alle quali, da soli e assorti
in mezzo alla campagna solitaria --la stessa che
adesso vediamo tagliata dal nastro grigio e rumoroso
delle autostrade--, qualche spirito tormentato
delle metropoli imperiali di Vienna,
Londra
o Berlino,
ancora viene per meditare sui destini ultimi della
vanità umana; sull'insensatezza della vita
stessa, forse. A Paestum, le
possenti e magnifiche colonne di travertino del
tempio dorico di Poseidone, confuse
nel paesaggio reso più immobile e indifferente
dagli ultimi bagliori di un tramonto autunnale
che rabbrividisce tra il cielo e il mare, per
Gissing
sembrano emergere direttamente dalla forza tellurica
del suolo, e parlano della solitudine che avvolge
e annichilisce la storia umana nell'eterno uguale
rifarsi del tempo, nel passaggio all’indifferenziato
che avvolge tutte le forme della natura.
--L’ineffabile
<<sentimento dei luoghi>> di cui ha
parlato di recente Vito Teti
trova in uno ‘straniero’ come Gissing
un testimone in anticipo sulla coscienza del tempo.
--Anche
<<la gente che qui vive con dignità
e merita rispetto, e che commiserare sarebbe un
insulto>>, la stessa che egli incontrò
e ascoltò cantare in una lingua che ancora
custodiva i semi saltellanti dell'epos
dei greci --quelle donne dallo sguardo
innocente e sensuale di giovani dee, quella gente
allegra e caparbia la cui compagnia gli rese più
leggero il cammino--, non c'è più.
Chissà che direbbe il vittoriano solitario
di quella solitudine solenne e assorta, oggi pretenziosamente
cancellata dal movimento assordante e insensato
di un'autostrada affollata. Lo stupore di luoghi
su cui riposava l'insidiata memoria del mondo
degli antichi progenitori europei e dove ora travi
e piloni di cemento armato sostituiscono alberi
secolari e colonne millenarie. Ma il mondo, si
sà, è così com’è adesso.
E per i viventi rimpiangere il passato è
già un delitto. Il diorama di una natura
delicata e potente, la quieta bellezza di città
e contrade millenarie che un tempo suscitavano
puntuali l'ammirazione un pò svenevole
dell'inquietudine nordica, oggi presentano senza
scampo il conto di una nemesi storica che parla
il linguaggio malinconico e deserto di certi bellissimi
film di Gianni Amelio. Questo
paesaggio della modernità, con i suoi cascami
polverosi, le sue città rotte e inconcludenti
dove la gente sembra vivere nella frangia di un
presente opaco che non apre mai al futuro. Non-luoghi
costruiti da una società di immemoriali,
dove tutto viene calpestato e rimpicciolito dalla
violenza esorbitante delle cose nuove, dall’ingombro
caotico delle periferie senza più centro:
teorie di enormi condomini, asili di una povertà
nuova e più disperata che promettono di
attraversare indenni i secoli futuri mostrando
intatta la loro insalvabile bruttezza.
--<<La
Calabria>>, scrive ancora a
proposito Vito Teti, esemplificando
nei luoghi del moderno <<l’immagine di una
storia complessa e controversa, appare come un’unica
grande rovina, una “grande incompiuta”... l’indefinitezza,
la precarietà, sono un tratto distintivo
della geografia, del paesaggio, dell’antropologia
di una terra in fuga>>. In fuga da sé
stessa.
--L'umanità
povera e vociferante che senza saperlo custodiva
e venerava la stessa bellezza che fu degli antichi
forse anche nel più sordido degli abituri
di fango e paglia, è stata travolta e spazzata
via dalla volgarità irredenta e insolente
dei nuovi abitanti delle mille periferie povere
e incattivite che incombono sulle moderne città
del Sud.
Lo strepito meccanico del traffico ha soffocato
il mormorio delle fontane. L'assedio delle discariche
e dei cumuli di rifiuti, la voglia di distruggere
e negare è ovunque. Senza poter contare
su di un ragionevole compenso economico, oggi
le belle coste limpide della Calabria
sono solo un bel ricordo oppresso sotto una coltre
ininterrotta di cemento. Certo Taranto
e Crotone
di cent'anni fa erano piccole città sudice
e febbricitanti per la malaria, ma non ancora
inquinate dalla mafia e dal sudiciume della droga,
non ancora rovinate dall'abusivismo dilagante
e dal malessere sociale che le affligge ai giorni
nostri. La vecchia Cosenza
con i suoi vicoli, i mercati brulicanti e le sue
austere palazzate seicentesche oggi cadenti non
è stata riscattata dal suo antico isolamento
dalla crescita caotica della nuova Cosenza,
con la sua ambizione provinciale di città
degli uffici cablati e dei condomini grigi e squadrati,
che certo ancora non rivaleggia per civiltà
con l'antica città di Telesio.
Oggi il Sud
di Gissing
è un immenso e caotico terreno di battaglia
disseminato peggio che altrove dalle macerie e
dei ruderi informi di una modernizzazione scarsa
di sviluppo che è stata incapace di tenere
fede alle promesse di progresso annunciate un
secolo fa e rinnovate dai recenti profeti delle
“tre i”. Il prezzo delle conquiste della modernità
qui è stato tra i più compromettenti
ed elevati: territorio massacrato, assenza di
un'economia reale, disoccupazione che non smette
di crescere, amministrazioni e governi locali
allo sbando, la mafia efficiente e pervasiva come
qui nessun potere legale riesce ancora a diventare.
Un nuovo e più sottile disordine sociale
sta finendo per sgretolare una società
che a dispetto del lusso e del benessere materiale
ostentati ovunque, resta irredenta e immiserita
nei valori e culturalmente dimidiata nel suo unico
bene: la sua memoria. Una società entro
la quale nessuno pare avere il coraggio e la forza
sufficiente a contrastare il peggio. Altre regioni,
si dirà, altri paesi, altri Sud
del mondo offrono della modernizzazione un bilancio
simile, e tuttavia ‘ora’ è meglio di ‘allora’.
Resta pur sempre il benessere dei consumi, le
macchine, i frigoriferi, i computer, i telefonini,
le parabole, l’economia di carta: certo, è
vero. Ma non è comunque una buona ragione
per tacerne stupidamente il prezzo e nasconderne
lo scandalo. A poco più di cent'anni di
distanza da quel viaggio di Gissing
al Sud,
le pagine che questo scrittore vittoriano dedica
ad un mondo già allora così irrimediabilmente
lontano dall'età dell'oro e dalle pagine
ingiallite dei classici, sono divenute per molti
aspetti un documento complesso della verità
dei tempi e dei garbugli irrisolti della storia,
e non soltanto un divertente siparietto sul modo
più conveniente di stipulare accordi con
prostitute, ristoratori e postiglioni intriganti
(vale a dire, comunque, i nostri non del tutto
commendevoli nonni!). Anche come cultore di antichità,
Gissing
non si comporta da filisteo colto. Le sale polverose
dei musei provinciali, con le loro teorie di busti
e statue di divinità classiche e di ninfe
dal naso dritto, chiuse nella perfezione del passato,
sono testimonianze che lo interessano molto meno
dell’incontro reale e più umanamente promettente
con le ninfe plebee incontrate per le strade di
compagna. E i capolavori dell’arte apollinea sono
meno interessanti se confrontati con la <<strana
e sorprendente>> collezione di maschere
e ritratti di volti beffardi e deformi degli antichi
abitanti plebei di Taranto -autentico
geroglifico sociale che un'epoca trascorsa sembra
consegnare ai suoi successori-, osservate in un
angolo del museo archeologico. E queste immagini
del passato trovano un corrispettivo dialettico
ancor più significativo in una galleria
di sembianti di contemporanei osservati a Crotone,
i cui abitanti erano falcidiati dalla malaria
endemica, dove un fotografo cittadino <<aveva
esposto una quantità di ritratti, ed era
una mostra che faceva paura>>. Ancora è
lo stesso stupore umano suscitato da una commovente
tavoletta di commiato scoperta su una tomba del
cimitero di Crotone,
o quello provato a Napoli davanti ai turbamenti
della <<Collezione Pornografica>>,
intento alla contemplazione del magnifico bassorilievo
di un Dioniso malinconico e inebriato da una giovane
menade danzante. Immagini di un'inquietudine umana
che viene dal passato per smentire l'illusione
di felicità e di armonia proposta da un
paganesimo delle rovine estetizzante e di tutto
riposo, alla Goethe.
Il catalogo di adesso offre altre icone.
--Oggi
ci sono paesi e villaggi del Sud
diversamente poveri e precari. Avamposti traballanti
di una modernità fatta di superstrade dal
tracciato incerto e da quartieri abusivi sporchi
e polverosi, incistati di violenza. L’antropologia
del casino. Il paesaggio dei mucchi dei rottami
d'auto degli sfasciacarrozze in mezzo alle campagne,
e quello dei cartelloni pubblicitari e dalle insegne
al neon spropositate dei ristoranti per banchetti
nuziali a buon mercato. Villaggi di fantasmi per
nove mesi all’anno che hanno nomi di fantasia
copiati dalla televisione e quelli di città
antiche della magnagrecia, il cui richiamo grottesco
e favoloso occhieggia per qualche secondo dai
finestrini delle auto in corsa dei vacanzieri,
che già sfilano lasciandosi dietro le facce
stordite dei fruttivendoli e dei venditori ambulanti
di pesci e cibarie. Quelle vecchie donne e i ragazzini
fermi sotto il sole con i loro banchetti improvvisati
lungo il bordo impolverato delle nazionali soffocate
dal traffico estivo, con addosso quell'espressione
fissa e implorante nell'attesa di un acquirente
per le loro mercanzie d’occasione. Queste però
non sono povertà esotiche, tristezze da
cartolina. Niente a che vedere con il pittoresco
e il primitivo del Grand Tour classico. Anche
questo è il prodotto sociale della modernità
alle latitudini del Sud.
E la visione di questa modernità corriva,
caotica e distruttrice era stata oniricamente
intravista e malinconicamente preconizzata, quasi
anticipando nei segni criptici la sceneggiatura
e il set iperrealista di uno dei film di Amelio,
nel viaggio che George
Gissing compiva nel Sud
meno di cento anni fa. C'era già in quel
suo viaggio qualcosa che pochi stranieri hanno
avuto il bene di capire e il coraggio di affrontare
guardando tutto più da vicino: la verità
della vita, così com'è. E cosa resta
di un viaggio come questo? -- Non un bel souvenir;
ma la vita stessa. Quella che si prende, quella
che si da. Anche quando ogni cosa è impossibile,
anche quando tutto sembra renderla inutile, perchè
altrove e in nessun luogo esiste veramente <<another
new life>>. Ma fu questo il destino di Gissing,
di sentire il richiamo del Sud
come una notte insonne che ci ripete indimenticato
un nome di donna, amata e perduta. Da qualche
parte ci si innamora sempre del mondo, della vita,
di un nome di donna. Malgrado il mondo, nonostante
tutto, ognuno deve amare qualcuno da qualche parte.
Così come viene, prima che torni il silenzio.
Mauro
Francesco Minervino - risorse web
-
-
la
Voce di Fiore - Forum - 3 giugno 2005
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-
-
George
Gissing - risorse web
--C'è
sempre qualcosa di estraneo e di sbagliato
nel modo in cui una certa tristezza,
per non dire di una "morbosità"
dello sguardo, affliggeva certi inglesi
eccentrici e molti degli stranieri
perdigiorno in giro per il Grand
Tour. Tutti quei tisici illustri
e stravaganti che fuggono dalle fredde
e malinconiche metropoli del loro
mondo iperboreo sciamando verso il
Sud,
e che pagandone comodamente il prezzo
in travel cheque di una banca di Lombard,
si credono <<born
in exile>>.
George
Gissing (1857-1903)
--Il
Sud è uno dei quattro punti
o direzioni cardinali. È opposto al
nord e perpendicolare a est e ovest.
--Il
sud geografico è la direzione verso
l'estremità meridionale dell'asse
sul quale ruota la Terra, chiamato
Polo
Sud. Il Polo
Sud si trova in Antartide. Il Sud
Magnetico è la direzione verso
il polo
sud magnetico,
che si trova a una certa distanza
dal Polo Sud geografico.
--Il
termine Sud
del Mondo viene spesso
usato per indicare le nazioni meno
avanzate tecnologicamente o culturalmente.
Più generalmente "il Sud" indica particolari
regioni all'interno di una nazione,
come nel caso del sud Italia. - http://it.wikipedia.org/wiki/Sud
Crucifissione
- di Francesco Saverio ALESSIO
Kènosis
--[...]
Con la fine della metafisica, scopo
delle attività intellettuali
non è più propriamente
la conoscenza della verità,
bensì quella "conversazione"
nella quale ogni argomento ha il fondato
diritto di trovare un accordo senza
ricorrere ad alcuna autorità.
Lo spazio lasciato vuoto dalla metafisica
non deve più essere riempito
da nuove filosofie che pretendano
di esibire un fondamento estraneo
alla "conversazione".
Nella cultura contemporanea, questa
posizione non è rappresentata
solo dall'ermeneutica, ma anche da
scienziati come Thomas Kuhn
e Arthur Fine, da
filosofi come Robert Brandom
e Bas van Fraassen
e da teologi come Jack Miles
e Carmelo
Dotolo, nei quali la
questione della dimostrabilità
delle tesi sostenute rimane completamente
aperta, giacchè tali tesi si
richiamano pragmaticamente ed ermeneuticamente
all'edificazione più che alla
conoscenza.
--Secondo
Rorty
e Vattimo, la
secolarizzazione
non è altro che la storia del
pensiero
debole: è la secolarizzazione,
infatti, a insegnarci che le domande
sulla natura di Dio sono inutili a
causa della debolezza della nostra
ragione. Vattimo precisa che "l'indebolimento
che la filosofia scopre come tratto
caratteristico della storia dell'essere
si chiama secolarizzazione, intesa
nel senso più ampio, che abbraccia
tutte le forme di dissoluzione del
sacro caratteristiche del processo
di civilizzazione moderno. Se però
la secolarizzazione è il modo
in cui si attua l'indebolimento dell'essere
e cioè la kénosis
di Dio, che è il nocciolo della
storia della salvezza, essa non andrà
più pensata come fenomeno di
abbandono della religione, ma come
attuazione, sia pure paradossale,
della sua intima vocazione".
1)
Non ci
viene detto che Dio non esiste, ma
solo che non è chiaro che cosa
significhi affermare o negare la sua
esistenza.
--[...]
L'uomo post moderno, se assume fino
in fondo la condizione debole dell'essere
e dell'esistenza, può
finalmente imparare a convivere con
sé stesso e con la propria
finitezza, al di là
della residua nostalgia per la fine
di ogni assolutezza della metafisica.
--Accettare
la condizione costitutivamente scissa,
instabile e plurale che è propria
del nostro essere, destinato alla
differenza, alla transitorietà
e alla molteplicità, significa
essere in grado di praticare attivamente
la
solidarietà, la carità
e l'ironia. L'uomo che
distoglie la sua attenzione dall'oltremondo
e la rivolge a questo mondo e a questo
tempo (Saeculum significa
anche "questo tempo presente")
si adopera per far valere gli ideali
del pluralismo e della tolleranza
ed evita che una particolare visione
del mondo s'imponga servendosi dell'autorità
che le è attribuita. La "morte
di Dio" (un'espressione che originariamente
appartiene a Lutero) oggi indica l'icarnazione,
la kénosis
(dal verbo kenóo, rendo
vuoto), con la quale Paolo allude
al "vuotarsi di se stesso"
compiuto dal Verbo divino
che si è abbassato alla condizione
umana per morire sulla croce.
Tutto questo ci spinge verso una concezione
meno oggettiva e più interpretativa
della rivelazione, vale a dire verso
una concezione "dell'ultimo
dio". 2)
tratto
dalla INTRODUZIONE - Una religione
senza teisti e ateisti
- (pag. 23-24) a
IL
FUTURO DELLA RELIGIONE - Solidarietà,
carità, ironia
- Richard RORTY -
Gianni VATTIMO
--a
cura di Santiago
ZABALA, edito da GARZANTI,
2005
note:
1)
Vattimo,
Dopo la cristianità,
Garzanti, Milano 2002, pp. 27-28
2)
M.
Heidegger, Beiträge
zur Philosophie ( Vom Ereignis ),
Vittorio Klostermann, Frankfurt am
Main 1989
--1°
Festival internazionale della filosofia
in Sila
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